Era una calda mattinata dell’estate 2010, il cielo era limpido, il sole cocente e di fronte a me l’autostrada che ci portava a Civitavecchia. Sarebbe stata una bella vacanza di famiglia se qualcosa fosse andato diversamente. Ciao sono Concetta e vi racconto la storia della mia cardiopatia ipertrofica.

Viaggiavo serena in macchina con la mia famiglia quando improvvisamente mio padre, che era alla guida, iniziò a sentirsi poco bene, aveva la vista annebbiata e sudava freddo così promise a sé stesso di sottoporsi ad una visita cardiologica al nostro rientro. E così fu.

Il risultato non tardò ad arrivare, Cardiomiopatia ipertrofica. Di conseguenza sia io che mia sorella minore ci sottoponemmo ad una visita cardiologica completa. Ricordo ancora lo sguardo stupito del dottore che mi visitava, chiamò a raccolta tanti specializzandi per osservare la mia “particolare” situazione cardiologica. In cuor mio sapevo che qualcosa non andava. Sin da bambina ho sempre avuto fatica nel fare qualunque tipo di sforzo, dalle scale ad una semplice corsa, avevo sempre affanno e palpitazioni e ricordo che vivevo l’estate come fosse un incubo. Ma sono sempre stata una bambina che non si lamentava mai quindi tenevo tutto per me. L’esito fu abbastanza scontato, Cardiopatia ipertrofica ostruttiva ereditata dal papà, mentre mia sorella risultò negativa al problema, per fortuna.

Iniziò così la nostra serie di appuntamenti con i più illustri dottori di tutta Italia fino a quando a Roma ci consigliarono di rivolgerci al Prof. Franco Cecchi di Firenze, specialista delle Cardiopatie.

Avevo 16 anni quando il Prof. Cecchi mi visitò per la prima volta e mi sottopose ad una serie di esami che confermarono la diagnosi. Fu confermata l’origine genetica della Cardiomiopatia mia e di mio padre. Vista la mia condizione, Il cardiochirurgo dell’ospedale Careggi di Firenze mi fissò l’operazione il prima possibile. Era il 26 Ottobre del 2011, avevo 17 anni e stavo per essere operata. Ricordo ancora quella notte, il buio della stanza, la paura per una cosa così tanto più grande di me, ero sola e mi chiedevo se mai avessi rivisto la mia famiglia, il mio ragazzo e i miei amici. Alle 5 di mattina l’infermiera iniziò a prepararmi per l’operazione con tutte le procedure di rito. Dopo poco i miei genitori arrivarono in ospedale e dopo un saluto carico di lacrime e paure le porte dell’ascensore si chiusero davanti a me.

Passarono alcune ore, forse una decina e mi risvegliai in terapia intensiva con un’infermiera che controllava i miei parametri vitali. Quella notte fu la più difficile di tutta la degenza, ricordo che avevo un dolore tremendo alla schiena e al torace e una gran sete che purtroppo non poteva essere soddisfatta a pieno. Dal giorno successivo in poi iniziò la mia ripresa. Un passetto dopo l’altro ogni giorno, senza non poca fatica, stavo sempre meglio passando dalla terapia sub intensiva, al reparto ed infine ad un centro per la riabilitazione. Qui ci rimasi per ben due settimane: ogni giorno facevamo una leggera palestra per riattivare i muscoli del corpo.

Dopo un mese di degenza finalmente potei tornare a casa riprendendo un po’ alla volta in mano la mia vita e la mia quotidianità. Per i primi anni tornavo spesso su a Firenze per i controlli di routine. Adesso invece il mio appuntamento è fissato ad una volta all’anno. Negli anni successivi anche papà fu operato e sottoposto al mio stesso percorso ospedaliero uscendone anche lui vincitore.

Ora ho 25 anni, studio, sono fidanzata con il mio ragazzo storico che non mi ha mai lasciato sola e vivo una vita normale. Non sarò mai una maratoneta certo, ma posso tranquillamente fare tutti i piani di scale che voglio, passeggiare, fare uno sport leggero senza privarmi dei piaceri della vita.