di  Michele Ciabatti* e Franco Cecchi**

Secondo il Ministero della salute, i termini “farmaco”, “medicinale” e “prodotto medicinale” sono stati usati nel corso degli anni come sinonimi. Tuttavia di recente si è preferito usare il termine medicinale. Cos’è un medicinale:

  1. ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;
  2. ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.

Tutti i medicinali sono costituiti da principi attivi e da vari eccipienti. Il principio attivo è il componente dei medicinali da cui dipende la sua azione curativa, il medicinale vero e proprio.
Gli eccipienti sono invece componenti inattivi del medicinale, privi di ogni azione farmacologica. Hanno la funzione di proteggere il principio attivo dagli agenti esterni che potrebbero danneggiarlo (il caldo, il freddo, l’umidità o altre sostanze chimiche).

L’effetto “placebo” è un noto fenomeno che determina un beneficio percepito o reale da parte del paziente che, pur assumendo un medicinale senza proprietà attive, cioè una pillola che non contiene sostanze “curative”, ritiene di essere sottoposto ad una cura efficace per la sua condizione clinica.

E’ invece meno conosciuto l’effetto “nocebo” (dal latino “procurerò danno”), che può determinare una riduzione dell’efficacia clinica o la percezione di effetti collaterali correlati ad aspettative negative precedenti l’assunzione del farmaco o l’inizio del trattamento.

Tale fenomeno ha importanti basi biologiche ed è stato oggetto di numerosi studi e pubblicazioni scientifiche. Un esempio tipico di effetto nocebo è quello potenzialmente generato dalla lettura acritica dell’elenco dei possibili effetti collaterali descritti nel foglietto inserito nella confezione di un farmaco, il cosiddetto “bugiardino”. Il paziente potrà avvertire e riconoscere uno o più di questi disturbi in seguito all’assunzione del medicinale, anche nel caso si tratti di eventi avversi estremamente rari o descritti solo in caso di assunzione di dosi tossiche dello stesso.

Nell’ambito cardiologico, un esempio molto noto è il caso dei dolori muscolari (“mialgia”) riferiti dopo l’assunzione di una categoria di farmaci per la riduzione del colesterolo, le “statine”. Si tratta di una classe di farmaci che ha dimostrato di portare ad una marcata riduzione di ictus, infarto miocardico e mortalità, nel tempo, nei pazienti che le assumono costantemente. Questi farmaci hanno  determinato un profondo miglioramento nella vita dei pazienti con malattie cardiovascolari ed una netta riduzione dei ricoveri e delle procedure ospedaliere e dei costi  correlati. I casi di reale danno muscolare correlati alla terapia con statine sono molto rari secondo i dati derivanti da ampi studi in letteratura. Tuttavia, molti pazienti riferiscono mialgia dopo assunzione di tali farmaci anche in assenza di dimostrazione oggettiva di danno muscolare agli esami del sangue (aumento del CPK). Tale fenomeno è infatti spiegabile mediante l’effetto nocebo, dal momento che tale effetto collaterale è stato descritto da medici e dal “passaparola” dei pazienti. Un importante studio pubblicato su una delle maggiori riviste cardiologiche internazionali (“Journal of The American College of Cardiology”) ha preso in esame un gruppo di pazienti che ha assunto consecutivamente per 4 mesi statine, e successivamente compresse senza farmaco attivo (che vengono definite “placebo”) per altri 4 mesi ed in seguito non ha assunto nessuna compressa. I pazienti hanno riferito un aumentata percentuale di effetti collaterali indipendentemente dal tipo di pillola assunta (statina attiva o “placebo” cioè assenza di statina,). Questi risultati, quindi, hanno confermato che la maggioranza degli effetti collaterali associati alle statine sono in realtà mediata da una importante componente di effetto nocebo.

Un’altra dimostrazione importante dell’importanza dell’effetto placebo è quella derivante da studi su farmaci anestetici, che hanno dimostrato come la percezione del dolore derivante dall’iniezione del farmaco prima di una procedura operatoria fosse significativamente influenzata dalla descrizione fornita dal medico. Nel caso in cui veniva descritta come “la parte peggiore della procedura”, i pazienti hanno riferito un significativo aumento del dolore,  rispetto ai casi in cui veniva enfatizzato il beneficio dell’anestesia durante la procedura.

A questo punto si pone il problema di come fornire una corretta informazione sui possibili effetti collaterali di un trattamento senza generare un grave effetto nocebo da un lato, ma allo stesso tempo permettendo comunque una completa comprensione delle possibili problematiche relative.  E’ quindi fondamentale una comunicazione efficace e sincera tra medico e paziente al fine di creare un clima di fiducia e di comprensione nei riguardi delle strategie diagnostiche e terapeutiche. Studi recenti sugli effetti della psicoterapia, hanno dimostrato come la percezione del grado di empatia e competenza del medico da parte del paziente sia in grado di modulare in modo importante l’efficacia stessa del trattamento. Anche piccoli accorgimenti quali porre l’accento sui benefici attesi piuttosto che sui possibili effetti indesiderati o enfatizzare il beneficio sul soggetto stesso invece che sulla popolazione generale potrebbero essere d’aiuto nel limitare l’effetto nocebo di una terapia. La costruzione di un rapporto fiducia e una maggiore comprensione delle ricadute cliniche della terapia dovrebbero quindi portare al coinvolgimento del paziente nella strategia terapeutica condivisa.

Al fine di raggiungere questo obiettivo è importante fornire al soggetto maggiori informazioni sulla propria condizione clinica e sulle strategie disponibili per il trattamento. Questa tematica è particolarmente delicata nell’attuale complessità dell’universo informativo, spesso popolato da “fake news” e informazioni non scientifiche, veicolate da fonti non accreditate ed autorevoli come può avvenire nei diversi social (facebook, instagram, etc) o google news. In questo senso, le associazioni dei pazienti quali AICARM APS  svolgono un ruolo fondamentale nel fornire gli strumenti e le modalità di comprensione dei farmaci prescritti e la condivisione dei percorsi terapeutici proposti ai pazienti.

*Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale San Donato, Arezzo
**Presidente AICARM APS