Intervista alla Dr.ssa Silvia Favilli, responsabile Cardiologia pediatrica Ospedale Meyer

La diagnosi di Cardiomiopatia in ambito pediatrico va affrontata con un team di specialisti, che ne sappiano individuare con rigore l’origine. Ed è importante accompagnare il piccolo paziente verso il suo futuro da adulto con un percorso adeguato. Il tema è stato affrontato al convegno “Cardiomiopatia ipertrofica in età pediatrica” organizzato dalla Dr.ssa Silvia Favilli, responsabile di Cardiologia dell’ospedale pediatrico Meyer, e dal Prof. Iacopo Olivotto che dirige la Unit Cardiomiopatie dell’ospedale fiorentino di Careggi.

Silvia Favilli

Dr.ssa Silvia Favilli

Silvia Favilli, lei esercita la sua professione di cardiologo presso l’ospedale pediatrico fiorentino del Meyer, quale prevalenza hanno le Cardiomiopatie pediatriche sulla popolazione infantile?
Fortunatamente sono abbastanza rare, si stima una percentuale inferiore allo 0,5 su mille soggetti sotto i 18 anni di età, ma si tratta di una tipologia di pazienti molto eterogenea. Accanto alle forme “classiche”, dovute a mutazioni genetiche che interessano le proteine del muscolo cardiaco, ne esistono altre che vi assomigliano, ma sono attribuibili a malattie metaboliche o a sindromi particolari. Ciò implica che il cardiologo deve fare la propria valutazione insieme ad altri specialisti. E’ molto importante, per una corretta diagnosi, avvalersi di questo ampio spettro di specializzazioni come abbiamo a Firenze, all’Ospedale Pediatrico Meyer.
In particolare, è stata molto importante la stretta collaborazione che esiste ormai da molti anni fra la Cardiologia Pediatrica e il Centro Malattie Metaboliche e Neuromuscolari ereditarie, diretto dalla Prof Maria Alice Donati.

È importante la collaborazione con le strutture dedicate alle Cardiomiopatie dell’adulto?
Direi che è fondamentale. Da un lato questo consente la diagnosi precoce, attraverso gli studi familiari: i figli dei pazienti affetti da cardiomiopatia nota possono essere sottoposti a screening cardiologico; in altri casi la diagnosi di un bambino portatore di cardiomiopatia porta all’identificazione di familiari adulti affetti, che saranno quindi affidati al Cardiologo dell’adulto esperto in questo settore. Inoltre pazienti diagnosticati in età pediatrica che raggiungono l’adolescenza devono essere avviati attraverso un percorso di ‘transizione’ condiviso verso le strutture dell’adulto. A Firenze la collaborazione ormai storica con il Centro di Careggi è stata ed è determinante per la qualità delle cure ed il follow-up.

Lei ha organizzato proprio con il Prof Olivotto il recente convegno on line “Cardiomiopatia ipertrofica in età pediatrica” (15/1/21), dove è stata sottolineata l’importanza di una valutazione multidisciplinare dei piccoli pazienti e del loro riferimento ad un Centro con provata esperienza per fare una corretta diagnosi e terapia
Sì perché prognosi e terapie sono molto diversificate a seconda dei tipi di Cardiomiopatie. Alcune di queste Cardiomiopatie se adeguatamente curate possono addirittura regredire, per altre esistono studi molto promettenti di future terapie geniche che possono “correggere” l’errore genetico con meccanismi molto complessi. E’ quindi importante arrivare ad una diagnosi esatta per affrontare queste malattie con ciò che la medicina oggi può offrire. Voglio citare a questo proposito il contributo del Prof. Giuseppe Limongelli, responsabile della rete per le malattie rare della Regione Campania, che nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di riconoscere i segni che possono orientare verso una diagnosi, piuttosto che un’altra. Esistono pochi Centri di Cardiologia pediatrica in Italia organizzati in modo multidisciplinare. Anche le recenti Linee guida sulla Cardiomiopatia ipertrofica indicano che i pazienti pediatrici dovrebbero essere riferiti per consulenza ai Centri con provata esperienza prima di prendere decisioni importanti come l’intervento cardiochirurgico o l’impianto di un Defibrillatore.

Nuovi farmaci in arrivo?
Nell’incontro che lei ha citato il Prof. Iacopo Olivotto ha illustrato gli ottimi risultati ottenuti con un nuovo farmaco per la terapia della forma ostruttiva della Cardiomiopatia Ipertrofica nell’adulto. Sono necessari studi ulteriori per verificare se questo farmaco possa essere utilizzato anche in età pediatrica. Sono in corso studi per la terapia genica per alcune forme di cardiomiopatie secondarie a malattie metaboliche e neuromuscolari: si tratta di terapie che non sono ancora disponibili nella pratica clinica, ma la ricerca è molto promettente, e ci aspettiamo risultati importanti nei prossimi anni.

E’ importante una diagnosi genetica precoce per queste malattie?
Il discorso è complesso. Per le forme più frequenti sia nell’adulto che nel bambino dopo l’anno di età (quelle legate a mutazioni che interessano proteine del muscolo cardiaco), il difetto genetico può manifestarsi anche dopo l’età pediatrica, in età giovanile o adulta. D’altra parte per l’ipertrofia che si presenta alla nascita o sotto l’anno di età, purtroppo la prognosi è più sfavorevole, perché si tratta spesso di forme più “aggressive”. Inoltre nel neonato/lattante c’è una percentuale maggiore di forme secondarie a malattie metaboliche o a quadri sindromici, che hanno di per sé una prognosi peggiore

Nel caso di una familiarità della malattia, padre o madre portatori di cardiomiopatie, è consigliabile un’analisi genetica in età pediatrica?
Quando c’è una famiglia con una mutazione genetica nota, solitamente non diamo indicazione all’analisi genetica se il figlio non presenta segni di malattia. La positività dell’esame in questo caso può infatti condizionare negativamente la vita del bambino. In realtà il rapporto fra genotipo e manifestazione conclamata della Cardiomiopatia è molto complesso e variabile, non c’è un decorso obbligato. Questo aspetto è stato trattato nel convegno da Francesca Girolami, la genetista che da anni effettua l’analisi genetica delle Cardiomiopatie a Firenze. In caso di familiarità, ci deve essere sempre un monitoraggio clinico e cardiologico, con elettrocardiogramma ed Ecocardiogramma ogni 2-3 anni, mentre la ricerca della trasmissione del gene dai genitori mediante analisi genetica viene generalmente eseguita solo dopo i 10 anni di età.

La diagnosi di cardiomiopatia ha delle conseguenze sulla vita quotidiana del bambino e della famiglia? Cosa può dirci a questo proposito?
La diagnosi di cardiomiopatia, oltre a creare nella famiglia una comprensibile preoccupazione per lo stato di salute del bambino, ha anche delle conseguenze importanti sullo stile di vita. In particolare la diagnosi comporta limitazioni per quanto riguarda l’attività sportiva agonistica; soprattutto per i bambini e adolescenti asintomatici (come è spesso il caso per le cardiomiopatie ipertrofiche) queste limitazioni sono accettate con difficoltà dai giovani pazienti e anche dai genitori. Dobbiamo quindi spiegare, con colloqui dedicati, i motivi che giustificano l’astensione da attività competitive; contemporaneamente è necessario avviare i bambini e i ragazzi verso attività sportive appropriate per la loro situazione cardiologica, ma anche il più possibili gratificanti. A questo scopo risulta molto importante il rapporto con i Centri di Medicina dello Sport e anche con le organizzazioni sportive del territorio. Questo è un aspetto che stiamo implementando.
(Articolo di Laura D’Ettole)