Intervista a Primo Botti, volontario AICARM

di Laura D’Ettole

Tavolo, sedia, computer e ogni giovedì pomeriggio Primo Botti, volontario Aicarm, è lì, presso la Unit cardiomiopatie di Careggi: clinica medica, padiglione 13, secondo piano. Il suo ruolo è parte integrante dell’approccio medico-paziente che si sta sviluppando sempre più in questo contesto e che consiste nell’ascoltare, parlare con i pazienti e dar loro un supporto.

Primo Botti - Volontario AICARM

Primo Botti

Si chiama “Servizio di accoglienza e informazione”, è operativo da poco più di un mese e Primo ha già incontrato una trentina di pazienti: “La Unit cardiomiopatie ha in carico attualmente circa 4000 persone”, racconta. Ognuno di loro si reca nei due ambulatori Unit almeno una volta l’anno, sono pazienti di tutte le età: “Io li accolgo prima o dopo la visita, presentandomi come medico portatore di cardiomiopatia, ovvero come paziente esperto”. Primo Botti ha infatti esercitato per molti anni la professione medica a Careggi, ma il suo approccio tende ad essere più “empatico” che specialistico. “Mi avvicino, chiedo come stanno, quali sono i cambiamenti più importanti rispetto alla visita precedente, mi informo sui familiari. Poi dico loro come mi trovo io”. Il nucleo di questo rapporto diventa la ricerca comune dell’accettazione della malattia, e di come trovare il meglio della diagnostica e della terapia.

“I pazienti in genere mi accolgono bene, qualcuno è più frettoloso perché ha impegni di vario genere, alcuni vengono da molto lontano o da altre regioni, ma tutti sono ben disposti al colloquio”. A tutti infatti fa piacere parlare e interloquire con un medico nella loro stessa condizione: “Questa esperienza mi sta insegnando molte cose; in primo luogo il fatto che chi è affetto da una malattia ha bisogno di ascolto, non solo di prestazioni mediche”. La paura? “La paura forse è latente, ma non si percepisce ansia, ossessione o drammaticità. Il loro conforto è la diagnosi esatta e la certezza di avere a che fare con cardiologi esperti nella loro malattia e con uno staff infermieristico di livello”. C’è però una preoccupazione, questa sì molto presente, la paura di aver trasmesso il gene mutato ai propri figli, ma anche in questo caso prevale l’atteggiamento sereno di chi sa “di essere in buone mani”.

La famiglia fortunatamente è sempre molto presente: “C’è sempre qualcuno accanto ai pazienti, e questo è un bel paracadute!”. Molti sono interessati all’esistenza di un’organizzazione come Aicarm che si fa interprete di tante loro problematiche: “Apprezzano molto il servizio “Cuori in ascolto” che offre sostegno psicologico, oltre a fornire informazioni pratiche”.