Francesca Girolami

Dr.ssa Francesca Girolami

Sono 15 domande che Francesca Girolami, genetista presso il laboratorio di Cardiogenetica dell’ospedale pediatrico Meyer, si è sentita rivolgere dai pazienti in oltre venti anni di carriera, sul tema delle cardiomiopatie ipertrofiche. Girolami risponde con chiarezza sul rapporto cruciale con l’origine genetica della malattia e sul test per rilevare le mutazioni.

Quando va eseguito il test, si chiedono i pazienti? La risposta è: in seguito a diagnosi certa o ragionevole sospetto della malattia. Nei bambini valgono le stesse regole, con l’aggiunta che il test può essere eseguito rarissimamente anche in età prenatale. Tuttavia se si tratta di un test predittivo, ossia in assenza di malattia ma con un familiare che ne è affetto, nel caso di minori, ci si attiene alle linee guida europee dell’ESC (Società Europea di Cardiologia): non si interviene prima dei 10 o 12 anni di età, a parte casi particolari. Questo perché per un minore sapere di avere una predisposizione a sviluppare la cardiomiopatia ipertrofica, senza poter prevedere se e quando la malattia si svilupperà può essere psicologicamente una “spada di Damocle”.

Allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado di predire, in base al gene causativo, il decorso della malattia. A tal proposito però abbiamo un punto fermo: chi ha due o tre mutazioni genetiche ha una maggiore probabilità di manifestare una forma più severa della malattia, rispetto a chi ne ha solo una. Quanto tempo occorre per eseguire un test genetico? Ci sono molte differenze fra i laboratori delle varie regioni italiane e Aicarm le sta attualmente monitorando mediante un sondaggio dedicato. In Toscana, nel caso di un paziente adulto senza un’urgenza specifica, occorrono circa tre-quattro mesi. Se invece già si conosce il tipo di variante di cui è portatore un familiare affetto, è sufficiente meno di un mese.

Non esistono ancora farmaci mirati per il tipo di mutazione identificata, tuttavia esistono sperimentazioni avanzate e studi clinici molto promettenti di terapia genica di cui ancora non siamo in grado di prevedere i tempi di attuazione. Ma il test genetico è sempre in grado di individuare la mutazione della cardiomiopatia ipertrofica? La risposta è: solo nel 50% dei pazienti. Il test può concludersi con tre risultati: positivo, negativo, inconclusivo. Se i primi due casi sono intuitivi, il terzo è meno evidente. “Inconclusivo” significa che è stata individuata una mutazione genetica, ma allo stato delle conoscenze non siamo in grado di dire se sia totalmente benigna o associabile alla malattia.

Uno dei temi più sentiti dai pazienti è quello della trasmissione ai figli della propria mutazione. Ebbene, la probabilità è del 50% per ciascun figlio e indipendentemente dal sesso. Nel testo di Girolami si possono trovare le risposte sul che fare a seconda del risultato del test.
Due questioni infine, molto delicate. La prima: “Devo comunicare all’assicurazione la presenza di mutazione genetica”? La risposta è “no”; questa materia è tutelata da specifiche norme sulla privacy. La seconda: “Il vaccino contro il covid può aver aumentato il numero di casi di cardiomiopatie ipertrofiche?”. Anche in questo caso la risposta è negativa. Le ragioni genetiche le spiega Girolami.

Domande & risposte

Le domande più frequentemente poste dai pazienti con Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) durante i colloqui di consulenza genetica pre e post test con le relative risposte da parte del team degli specialisti che si dedicano a questa patologia (cardiologi, genetisti, psicologi etc..).

1) A cosa può servire fare il test genetico per la CMI?

Il test genetico permette di identificare la causa genetica (mutazione) della CMI, aiutando il cardiologo nella diagnosi; questo è particolarmente importante nel caso di una diagnosi differenziale con altre forme di ipertrofia come quelle infiltrative (ad es. la malattia di Fabry o l’amiloidosi cardica). Tuttavia, la ricaduta pratica più rilevante del test genetico nella CMI è quella di poter, una volta identificata la mutazione causativa, escludere o confermare la presenza della stessa nei familiari mediante uno screening a cascata. Conoscere se la mutazione che nella famiglia causa la CMI è stata ereditata o meno può essere molto importante. Infatti, se la mutazione è stata ereditata, c’è un rischio aumentato rispetto alla popolazione generale di sviluppare la malattia per cui è consigliato eseguire periodicamente una visita cardiologica; inoltre, il soggetto ha un rischio del 50% di trasmettere la mutazione per ogni figlio. Al contrario, se la mutazione non è stata ereditata, il rischio di sviluppare la malattia è molto basso, lo stesso della popolazione generale; in questo caso il risultato del test può essere rassicurante e può influire positivamente sulla qualità della vita. Inoltre, la mutazione non comparirà nelle generazioni successive.

2) Clinicamente mi è stata fatta una diagnosi dubbia di CMI. In questo caso l’identificazione della mutazione genetica può definitivamente chiarire la diagnosi?

In questo caso l’individuazione della mutazione genetica è il metodo più sicuro per confermare la diagnosi clinica. Viceversa se la mutazione non viene identificata questo non vuol dire che non si tratti di CMI, ma la situazione resta quella iniziale. Nella nostra esperienza abbiamo avuto ad esempio un caso di un atleta con dati clinici dubbi in cui l’identificazione di una mutazione descritta nel gene MYBPC3 ha permesso di confermare la diagnosi.

3) La mutazione presente nel mio DNA è associata ad un decorso benigno o sfavorevole della patologia?

Non è possibile al momento associare al tipo di mutazione il decorso della patologia questo perchè esiste una grande variabilità intra individuale del fenotipo associata ad una medesima mutazione. Nella nostra esperienza abbiamo famiglie in cui ci sono soggetti con la stessa mutazione (ad es. il probando, la madre ed il nonno materno) nei quali la malattia si è manifestata in maniera completamente diversa, per sintomatologia, decorso, età di insorgenza. Questa variabilità, nota anche come penetranza incompleta, al momento è possibile spiegarla con l’influenza sulla mutazione genetica di fattori ambientali (ad esempio abitudini alimentari, fumo, pratica sportiva etc.) e di ulteriori fattori genetici in parte ancora sconosciuti quali geni modificatori o polimorfismi. Soltanto studi di correlazione genotipo fenotipo su larga scala potranno darci una risposta in futuro

4) La conoscenza della mutazione genetica mi permetterà di accedere a terapie farmacologiche mirate?

Il test genetico è poco rilevante dal punto di vista medico poiché non esiste una terapia preventiva, anche se ci sono studi sperimentali e terapie emergenti che aprono speranze per il futuro (ad es terapia genica). L’individuazione della mutazione genetica può comunque essere di aiuto per il cardiologo per le scelte terapeutiche.

5) Se la mutazione non viene identificata (test genetico negativo), vuol dire che la mia cardiomiopatia non ha una base genetica?

Oggi il test genetico prevede l’analisi di un gruppo di geni (sarcomerici) noti come associati a CMI. Si calcola che quest’analisi copra circa un 40/60% delle diagnosi (specificità del test). Se, completato il pannello di geni, la mutazione non viene identificata, questo significa che potrebbe trovarsi in geni ad oggi sconosciuti. Per questo motivo i familiari del probando dovrebbero comunque fare visite cardiologiche di controllo periodicamente

6) Qual è la probabilità di trasmissione della mutazione ai miei figli?

Il rischio a priori che un individuo avendo uno dei due genitori con CMI sia portatore della mutazione è del 50%. La modalità di ereditarietà della CMI viene detta autosomica dominante; questo significa che è sufficiente che uno dei due genitori abbia la mutazione genetica per trasmetterla alla metà dei suoi figli ed inoltre che la trasmissione non è legata al sesso dei figli ma la probabilità è la stessa per i maschi e per le femmine.

7) E’ possibile che un familiare che ha ereditato la mutazione non si ammali mai?

Data la penetranza incompleta della patologia, e la variabilità anche intra familiare del fenotipo l’identificazione di una mutazione sarcomerica in un soggetto sano non può essere intesa equivalente alla certezza di ammalarsi. La presenza della mutazione deve essere interpretata come una probabilità elevata che l’ipertrofia si manifesti, e perciò un rischio elevato di andare incontro alla malattia. In genere la malattia si manifesta entro la 4°-5° decade di vita; esiste però una percentuale di casi dove questa resta latente fino anche dopo i 60 anni.

8) Sembra che io sia l’unico caso della mia famiglia con la CMI; anche in questo caso la causa della malattia è genetica, e se è così posso trasmettere la mutazione ai figli?

In circa un terzo dei casi la CMI si manifesta “de novo” cioè per la prima volta in un soggetto di una famiglia. In questo caso la causa è sempre una mutazione genetica che è insorta casualmente nel DNA di quel soggetto. La modalità di trasmissione ai figli risulta essere uguale a quella della CMI familiare cioè autosomica dominante (50% di probabilità di trasmissione della mutazione).

9) Dato che ho la CMI e conosco la mutazione che l’ha causata, posso far fare il test genetico a mio figlio che ha quattro anni anche se al momento non ha nessun segno clinico della malattia?

In questo caso non c’è indicazione, poiché ogni individuo deve essere libero di scegliere di sapere o di non sapere se ha ereditato la mutazione. Non riteniamo ragionevole mettere a conoscenza un bambino di essere a rischio di ammalarsi nel corso della vita non sapendo definire né l’età d’esordio della malattia né come potrà manifestarsi, e soprattutto non potendo intervenire in nessun modo per evitare che la mutazione si esprima dando la malattia. Perciò nel caso di minori non affetti il test genetico potrà essere effettuato solo a partire dall’adolescenza (dai 10-12 anni), almeno che non emergano nel frattempo i segni clinici della CMI.

10) Adesso che si conosce la mutazione genetica causa della CMI, si potrebbe eventualmente vedere se questa è stata ereditata in un eventuale nostro figlio già prima della nascita?

Questa è una questione molto personale. Attraverso le tecniche della diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi, villocentesi) è possibile ottenere il DNA del futuro nascituro, quindi procedere alla ricerca della mutazione. In realtà non riteniamo opportuno effettuare questo tipo di test in quanto se identificassimo la presenza della mutazione non potremmo associarvi con certezza né l’epoca della comparsa della malattia, né la gravità, in quanto nella medesima famiglia abbiamo soggetti con la stessa mutazione ma con manifestazioni estremamente diverse della patologia.

11) Se il test genetico risulta negativo, visto che al momento sono clinicamente sano posso praticare attività sportiva con tranquillità? E se risultasse positivo devo interrompere?

Il test genetico negativo, quando concorda con il quadro clinico, è sicuramente un dato rassicurante anche per lo specialista che deve stabilire l’idoneità sportiva. Nel caso invece del soggetto sano ma portatore della mutazione è importante che effettui controlli ripetuti al fine di intervenire tempestivamente se e quando si potrà manifestare l’ipertrofia. E’ permesso fare attività fisica regolare, mentre l’attività sportiva agonistica, può essere sconsigliata se la mutazione concorda con un quadro familiare di morte improvvisa.

12) Se il test risulta positivo, che influenza può avere sulle polizze assicurative che ho già stipulato?

Il dato genetico è strettamente personale e tutelato da normative diverse da paese a paese. Anche in Italia abbiamo queste leggi, per cui il paziente non è tenuto né in ambito lavorativo né in seguito alla stipulazione di un’assicurazione sulla vita a dichiarare di aver fatto il test genetico.

13) Ho saputo che il test genetico richiede tempi lunghi per essere effettuato. Ma una volta identificata la mutazione sarà altrettanto lungo effettuare il test sui miei familiari?

Nel caso dello screening dei geni causativi di CMI occorre analizzare una quantità molto grande di DNA. Il DNA è una molecola presente nel nucleo delle nostre cellule e quindi anche di quelle cardiache che contiene l’informazione per la produzione di proteine. Nel caso della CMI le proteine prodotte sono quelle del sarcomero, cioè l’unità contrattile del cuore. L’informazione conservata nel DNA è come raccolta in un grande libro ed è compito della cellula leggerlo per riuscire a costruire le varie proteine. Anche per effettuare il test genetico occorre leggere e decifrare il libro del DNA al fine di identificare qual è la “parola” non scritta bene e in che pagina si trova. Questa “parola” che non si legge bene è proprio la mutazione che causa la CMI.
La lettura e decifrazione del codice genetico, paragonabile al nostro alfabeto richiede tempo, in quanto è necessario interrogare numerosi database e cercare nella letteratura scientifica dati a sostegno della nostra ipotesi. Però, una volta identificata la mutazione nel paziente, nei familiari si va a cercare solo quella, motivo per cui il test richiede pochi giorni; in questo caso conosciamo già la pagina del libro dove si trova la “parola” non scritta bene.

14) Cosa significa se il risultato del test genetico è “inconclusivo’?

In questo caso il test genetico ha identificato una variante rara denominata VUS (Variante di Significato Incerto). Per questa tipologia di varianti a causa della loro rarità nella popolazione, è disponibile solo una quantità limitata di informazioni. E’ importante sapere che quando viene identificata una VUS, il risultato del test è ambiguo e inconcludente a livello clinico. Per questo motivo, una VUS non dovrebbe essere utilizzata per stabilire una diagnosi genetica e guidare lo screening familiare a cascata. Le conoscenze future o i rapporti scientifici potrebbero migliorare la nostra comprensione della VUS e aiutarci a rivalutarla. L’identificazione di una VUS, anche se rappresenta uno dei tre possibili risultati di un test genetico (1, positivo: variante causale patogena/verosimilmente patogena; 2, VUS rara; 3, nessuna variante rara identificata) può essere considerata una limitazione dei test genetici.

15) È possibile che il vaccino COVID-19 abbia causato la comparsa della CMI?

Il materiale genetico fornito dai vaccini a mRNA non entra mai nel nucleo delle nostre cellule, dove è conservato il nostro DNA. I vaccini COVID-19 con vettore virale forniscono il materiale genetico al nucleo delle cellule per consentire alle nostre cellule di costruire una protezione contro il COVID-19. Tuttavia, il virus vettore non possiede i macchinari necessari per integrare il suo materiale genetico nel nostro DNA, pertanto non può causare la CMI.

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