Parla la Dr.ssa Francesca Torricelli, che ha fondato e diretto la “Diagnostica genetica” dell’Ospedale di Careggi

La “Diagnostica genetica” di Careggi a Firenze è oggi un centro di eccellenza in Italia per le cardiopatie ereditarie, ed è parte integrante del team che consente di ricostruire la familiarità delle cardiomiopatie ipertrofiche e di agire come potente strumento di prevenzione. Francesca Torricelli, che ha diretto la struttura fino al 2016, ne ha seguito gli sviluppi e la straordinaria evoluzione nell’arco di quasi quarant’anni.

Era il 1980 ed all’inizio erano solo in tre. In questi ultimi anni hanno superato i cinquanta addetti fra ricercatori, dirigenti, tecnici e borsisti: è la Sod “Diagnostica genetica” di Careggi che studia patologie ereditarie, variabilità genetica e sviluppa progetti di ricerca di livello internazionale. La sua crescita è andata di pari passo con i progressi legati alla conoscenza del genoma umano, tuttora in evoluzione da quel 2003 in cui la mappa dei geni fu dichiarata completa. Ha raggiunto un’alta specializzazione in alcune patologie molto particolari: la cardiomiopatia ipertrofica è fra queste. “I laboratori di genetica hanno una tecnologia applicabile alla diagnostica di tutte le malattie ereditarie, ma in realtà ogni laboratorio si focalizza su alcune di esse e non altre per studiarle in modo approfondito”, spiega Francesca Torricelli, direttore fino al 2016. Con il suo gruppo ha vissuto lo sviluppo e l’acquisizione di tutte le fasi dell’enorme crescita e specializzazione della genetica. Francesca ha iniziato a Careggi con l’analisi dei cromosomi e poi si è immersa nello studio del gene. “Ci possono essere patologie che derivano da uno o più geni; oppure mutazioni che si verificano in un punto o in un altro. Ognuna di queste dà luogo a malattie più o meno gravi”. E per il genetista è molto importante conoscerle a fondo. “Via via che la genetica è andata avanti ha mostrato che il cuore non è legato ad un solo gene, ma a tanti”, e ogni mutazione dà luogo a segni clinici particolari, prosegue Torricelli.

L’esigenza di specializzazione è chiara, ma come mai un centro di genetica decide di focalizzarsi su una patologia piuttosto che un’altra? “La risposta è semplice: se hai un grande esperto in cardiologia, è il clinico che stimola e indirizza la ricerca sulle patologie del cuore”. Lui diventa il centro di attrazione. A Careggi è successo così. “Tutto nacque con Franco Cecchi e Iacopo Olivotto, all’epoca giovane dirigente, che avevano bisogno di una buona struttura diagnostica”. Cecchi era allora responsabile del Centro di Riferimento regionale delle Cardiomiopatie, ed esperto nelle diverse forme di cardiomiopatie ipertrofiche ereditarie. Per indagarne la causa era necessario un servizio di genetica e la SOD di diagnostica genetica di Careggi sviluppò uno specifico settore per la genetica ereditaria di queste patologie cardiache.

“Non è la genetica a far crescere un clinico, ma è quest’ultimo che sprona il servizio di diagnostica a sviluppare la propria struttura” sottolinea Torricelli. E così dopo il cuore, è arrivata la retina, poi lo studio dell’emofilia, come di alcune patologie ereditarie rare: tutte specializzazioni, aree “forti” della Sod di Careggi. “Nel laboratorio vengono utilizzate le stesse metodologie, ma alcuni settori affrontano patologie specifiche”.

Per le cardiomiopatie ipertrofiche funziona così. Quando il cardiologo sospetta un caso di ereditarietà, entra subito in contatto con il genetista. Quest’ultimo inizia un minuzioso lavoro di ricostruzione dell’albero genealogico del paziente (chiamato “Indice”) fino alla terza generazione. Una volta eseguito l’esame, se individuata la mutazione, la riconsegna della risposta sarà eseguita in modo multidisciplinare: cardiologo e genetista. Da lì inizia il coinvolgimento consensuale e informato di tutti i parenti alla ricerca della mutazione genetica. “La procedura è semplice: viene fatto un prelievo di sangue, si estrae il DNA e si analizza il gene potenzialmente responsabile”. La genetica in questo modo “diventa un potente strumento di prevenzione familiare” laddove la malattia non si è ancora rivelata. (di Laura D’Ettole)