Risponde la dottoressa Guendalina Rossi, psichiatra e psicoterapeuta

Seconda puntata della serie di AICARMNews sulle risposte che medici, analisti e terapeuti danno alle domande più frequenti che si sentono rivolgere dai pazienti. Questa volta a rispondere è Guendalina Rossi, psichiatra e psicoterapeuta. Si tratta di cinque domande che sintetizzano dubbi, preoccupazione e angosce di chi si incontra per la prima volta con la malattia. “Le risposte – dice la dottoressa Rossi – certamente non esauriscono né soddisfano pienamente la curiosità e la necessità di conoscere, ma speriamo possano stimolare l’interesse per ulteriori approfondimenti”.

Dr.a Guendalina Rossi1) Da quando so di avere una Cardiomiopatia mi sento diverso, un po’ triste e un po’ arrabbiato. Cosa posso fare?

La notizia di avere una malattia è un terremoto nella vita di chiunque. Da “sani” si diventa “malati” e si entra nello status di “pazienti”.
Siamo, in generale, abituati a pensare che tutto dipenda dalla nostra volontà, ma la diagnosi di malattia rende necessario adattarsi a qualcosa che non abbiamo scelto o voluto.

Può essere molto difficile passare dal pensare il proprio corpo come qualcosa che ci appartiene, come un oggetto che possiamo usare senza limiti o restrizioni, alla consapevolezza che quel corpo ha dei limiti e diventa esso stesso il nostro limite.
La consapevolezza della diagnosi richiede al paziente un cambio di prospettiva, ma permette anche di consegnare un senso nuovo allo scorrere della vita stessa. Importante darsi tempo, non isolarsi e soprattutto parlarne. Intanto con un amico, un familiare o comunque una persona di cui ci si fida. Può aiutare anche confrontarsi con qualcuno che ci è già passato e sa bene di cosa si parla.

2) Ma chi mi potrebbe aiutare? Forse ne dovrei parlare con il mio medico o farmi aiutare da uno psicologo esperto?

Certo che può aiutare parlare con il proprio medico, specialmente se ben informato sul tema specifico. Tuttavia, se si ha l’impressione che, nonostante passi il tempo, non si riesce a “digerire” la notizia, si continua a pensare quasi esclusivamente alla malattia, ci si sente cambiare rispetto al nostro consueto modo di essere, oppure si rinuncia a fare cose nonostante questo non sia imposto dalla condizione di salute, allora si rende necessario chiedere un aiuto più mirato ad un professionista che ci porti ad accettare la novità della malattia e ci consenta di costruire un nuovo equilibrio. La malattia mette in crisi e modifica tutti gli equilibri precedentemente raggiunti sia personali che familiari; pertanto, spesso può essere utile l’intervento di qualcuno di “esterno” che possa aiutare e accompagnare la persona ad accettare la sua nuova condizione ed includere la malattia nella sua vita.

3) Sono angosciato che la mia Cardiomiopatia possa essere trasmessa ai figli. Cosa posso fare per dirlo in famiglia?

A volte, parlare con la propria famiglia può essere estremamente difficile, soprattutto quando la diagnosi di Cardiomiopatia potrebbe riguardare i figli.
In queste circostanze, spesso i genitori si sentono in colpa, l’angoscia e il dolore per quello che i figli potrebbero dover affrontare li sovrasta. Può esserci anche un senso di vergogna legato al fatto di trasmettere come eredità qualcosa di così indesiderabile, che cambierà anche la loro di vita. Inoltre, spesso, si attivano dinamiche familiari poco funzionali, sia all’interno della coppia genitoriale, che tra genitori ed i figli. Infatti, è necessario ed utile che venga dato spazio e possibilità di espressione ai sentimenti e alle emozioni di tutti, genitori e figli, ma in modo evolutivo così da rendere il più fluida ed autentica possibile la comunicazione all’interno del nucleo familiare.

Può essere utile venire aiutati dal proprio cardiologo o da uno psicologo per sapere come rivolgersi ai propri figli. Infatti, è importante essere chiari e sinceri, ma bisogna avere le parole giuste per dire una cosa così difficile.
Inoltre, l’età, il differente carattere dei figli, le loro risorse e le loro vulnerabilità rendono necessaria un’attenta valutazione di “come” parlare loro.

4) L’idea che debba fare una terapia medica continuativa o impiantare un defibrillatore non fa per me? Come posso fare per accettarla?

Accettare che un dispositivo sia all’interno del nostro corpo può essere vissuto in maniera molto differente dai pazienti. Per qualcuno è una tutela, un salvavita che mette al sicuro e garantisce la vita. Per altri può essere una sorta di minaccia angosciosa, un alieno che occupa il corpo e lo fa diventare estraneo a chi lo abita di diritto.

In entrambi i casi, può essere molto utile parlare con pazienti in cura e che hanno già un defibrillatore. Tale condivisione permette di comprendere direttamente, da chi fa esperienza ogni giorno, come possa svolgersi la propria vita assumendo una terapia farmacologica oppure portando nel proprio corpo un dispositivo: i limiti, le criticità, gli inconvenienti, ma anche i vantaggi reali, il senso di sicurezza e protezione. Ci sono pazienti che sanno raccontare queste cose così serie ed importanti con leggerezza e ironia, permettendo a chi ascolta di immaginare una vita possibile. Tuttavia, se risulta davvero così difficile, o addirittura impossibile, accettare una terapia farmacologica a vita oppure un defibrillatore, allora è necessario ricorrere all’aiuto di uno psicologo o uno psicoterapeuta esperto.

5) Ho letto in rete che i pazienti con Cardiomiopatia possono morire improvvisamente. Da allora sono terrorizzato, ma come posso fare per togliere questa paura?

Navigare in rete non è sempre una buona idea poiché possono esserci notizie non precise o che possono creare tanto allarmismo. Infatti, ogni paziente ha la propria storia e la cosa migliore, quando sente il bisogno di avere delucidazioni, è parlare con il proprio cardiologo, l’unico che conosce a fondo la condizione del proprio paziente e che può dare risposte realmente pertinenti alla sua situazione attuale o comunque rivolgersi a “Cuori in ascolto”, lo sportello creato da AICARM Onlus che, grazie al lavoro di volontari e specialisti, offre sostegno a chi, pazienti o loro familiari, è coinvolto nell’esperienza di Cardiomiopatia.