L’amico Giorgio Raddi ci racconta in modo divertente cosa e come si mangiava nel quartiere fiorentino di San Frediano poco meno di 100 anni fa. Per fortuna oggi i tempi sono cambiati e possiamo trarre vantaggio dai pratici consigli della nutrizionista Emma Balsimelli. Dopo le feste abbiamo proprio bisogno di smaltire il peso in eccesso e rientrare …nelle cinture!

Il brodo di trippa a Firenze esisteva davvero? Porca miseria se esisteva! Se non fosse esistito il brodo di trippa, come minimo, addio rione di San Frediano. L’intero quartiere, si può dire, che sia vissuto poppando a questa poppa.

Scusatemi ma io debbo partire da lontano, diciamo dall’ottocento, forse poco dopo Garibaldi. Questa era l’epoca dei miei nonni, che insieme ad tempo da me vissuto, dal 1928 in poi, erano la mia fonte del conoscere. Certo è che ho chiara la visione della vita vissuta da questo popolo. La gente moriva di infezioni varie, anche di piccola entità. Si moriva di polmonite, di bronchite (che poi si trasformava in tubercolosi), di tracoma si accecava. Comunque sovrana e perfida madre di tutte queste conseguenze era…. la fame.

La Sora Emma di Via dell'Orto

La Sora Emma di Via dell’Orto

Le case erano piene di umidità, non esisteva il riscaldamento, gli infissi con mille spifferi, non chiudevano affatto. I letti mortificavano il sonno, specie di inverno, perché erano fradici di umidità diffusa. L’unica consolazione per i bambini era il fatto di dormire in un letto anche in quattro, due da capo e due da piedi… come era uso ricorrente. Comunque, alla fin fine, questo diventava un modo per stare più caldi.

Tutto ciò che ho detto è la premessa per arrivare al brodo di trippa. Ma cosa c’entra con il brodo di trippa? C’entra, … c’entra… perché era l’unico antidoto per quanto detto sopra, era il nutrimento.

Come si otteneva il suddetto brodo? Budelli vari e trippe, zampe e lampredotti venivano bolliti poi distribuiti a tutti quei trippai che stavano sugli angoli di tante cantonate. Questa era ciccia. Ma il brodo?… Eccoci al brodo…andiamo a vedere il luogo dove veniva cucinato.

Era questo un angusto androne di Via dell’Orto (in San Frediano) in fondo al quale troneggiava una grande caldaia, da contenere seduti quattro uomini. Qui avveniva la bollitura, l’odore, buono o cattivo che fosse, si propagava nelle case adiacenti. Questo ormai era assimilato da tutti e accettato come stimolante per l’appetito.

Alle cinque della sera la gente, con la pentola o fiasco, entrava nell’androne. Era pimpante la caldaia che traboccava di quel brodo lasciato dalle trippe, col grasso galleggiante che tutti reclamavano, perché faceva bene. Fra tanti mali in corpo, il fegato era sano e diciamolo pure: ignorato.

La gente stava in basso, più in alto la caldaia dove, su due scalini di un panchetto, si ergeva una donnona con la salute in faccia, bonaria e sorridente, severa coi ragazzi perché facevan “casino”. Si chiamava Emma la donna dei miracoli, che dispensava brodo per due soldini appena. Il brodo era caldissimo, gentile e accattivante, aggiunto al riso e al cavolo, la cena era già pronta.

Chi non aveva il cavolo, nemmeno un po’ di riso, buttava i seccherelli a rinvenire dentro. Comunque fatto il pieno, il corpo rugliava, e…. pigiati dentro il letto: il sogno cominciava.