“Quella macchinetta mi ha salvato le penne”: Francesca e il defibrillatore sottocutaneo”

di Laura d’Ettole

Francesca Musso scopre tardi la sua cardiomiopatia ipertrofica, a 23 anni. Oggi ne ha 30. Ma in quel momento critico aveva già la testa nel mondo. Liceo classico, corso in scenografia, laurea in scienze motorie e poi via da Genova, la sua città natale, verso l’Australia e Londra, per lavorare e scoprire le cose. E’ in questo scenario che la sua esperienza di malattia si trasformerà in una pagina Instagram (livingwiththesicd), con centinaia di follower e una fitta corrispondenza con tante persone con lo stesso problema.

Francesca MussoFrancesca nasce con un “soffietto” al cuore, come lo definisce lei. Controlli periodici, ma nessun disturbo importante, solo qualche segnale: “Non riuscivo a correre, le salite erano troppo faticose per me”. A lei, che si stava laureando in scienze motorie, proprio non sembrava possibile. E allora, se le veniva il fiatone, fingeva di cercare qualcosa dentro la borsa, se la salita era troppo ripida, cercava un fazzoletto in tasca. Scattano gli approfondimenti medici, va da uno specialista rinomato: “Mi fa entrare in una stanza con un tavolone gigante, mi mostra una piramide con il grafico di morte improvvisa e mi dice: tu sei qui”. L’aveva messa nella zona a rischio medio-alto. Francesca esce da quello studio con un senso di rifiuto totale. La mancata empatia con il medico purtroppo avrà conseguenze importanti. “Fingevo di curarmi, prendevo una pillola sì e cinque no”.

Dopo qualche anno, in uno dei soliti controlli, il peggioramento purtroppo è evidente. “A quel punto ho preso le cose più seriamente”. Non “salta” le pillole, se sente un “dolorino”, si ferma. Accetta di rallentare un po’ la sua vita. Le proibiscono di sciare, lei strepita un po’ ma lo fa. Accetta anche, nel 2019, la proposta dei medici di inserirle un defibrillatore sottocutaneo. “Ho detto di sì, ma ero convinta che non mi sarebbe mai servito. L’avevano definito un possibile paracadute, un dispositivo silente che in caso di fibrillazione pericolosa parte e ti salva la vita”. L’intervento va benissimo, ma qui si apre una nuova pagina inedita nella vita di Francesca.

“Con questo aggeggio addosso mi sentivo male. Perché la mia schiena adesso era storta? Non muovevo più il braccio sinistro”. E’ normale, dicevano i medici, è uno stato passeggero, poi il corpo si abitua. “Manca molto un passaggio di riabilitazione post operatoria” sostiene Francesca. E lei non si dà pace. Farà da sé. “Mi metto al lavoro con un’amica fisioterapista che mi ha sostenuto”. C’è una componente fisica e una psicologica, dice l’amica. E allora via con un allenamento a base di yoga, posturale, pilates, e ovviamente fisioterapia. “Durante il lockdown per il covid avevo molto tempo libero e ho creato una pagina Instagram dove mostravo come è possibile convivere con il defibrillatore sottocutaneo. Mi hanno scritto una cinquantina di persone”.

“Ho paura”, diceva qualcuno; “Non troverò mai un fidanzato”; “Mio figlio non potrà più giocare con gli amichetti”. Francesca ha risposto ad ognuno di loro, e lo fa anche oggi. Ma c’è un’ultima tappa che questa ragazza ha dovuto affrontare, il 29 maggio 2021. “Avevamo deciso con la famiglia di andare tutti in gita a Monterosso. La sera prima ero tornata tardi, e il treno era alle 7,20 di mattina. Sono arrivata alla stazione cinque minuti prima e da lontano vedo il treno arrivare. Ho fatto una corsa da matti. Il treno l’ho preso, ho detto ciao ciao alla mamma, un dolorino e poi il buio: sono svenuta. Quando ho riaperto gli occhi c’erano mamma e zia sopra di me con gli occhi pieni di lacrime: quella macchinetta mi aveva salvato le penne”. Lei naturalmente sosteneva di essersi solo svenuta, ma quasi la costringono ad andare all’ospedale. Lì scaricano i dati e il risultato è inequivocabile: il defibrillatore è entrato in funzione e lei non si è accorta di niente. Le ha salvato la vita.

“Sono contenta di averlo messo. Questa esperienza mi ha insegnato a misurare il mio tempo: meno impegni, meno affanno, più spazio a me stessa. Ho anche ricominciato a sciare con il consenso dei medici. E la prossima volta, se mai dovrò perdere il treno, lo perderò”.