Intervista alla Dr.ssa Alessia Argirò, specialista cardiologa e dottoranda in scienze cliniche dell’Università di Firenze

di Laura d’Ettole

C’è una nuova frontiera della medicina che studia le differenze di genere in varie patologie, fra cui le cardiomiopatie. Questo nuovo modo di affrontare l’universo della malattia rivela molte cose: le donne si mettono spesso in seconda fila nella prevenzione e dunque si espongono ad un maggiore rischio di mortalità; anche la diagnosi per loro è più complessa. Alessia Argirò, cardiologa e dottoranda in scienze cliniche dell’università di Firenze, ci spiega le ragioni sottili della “diversità”.

Secondo il pensiero comune l’universo femminile è meno soggetto a patologie cardiache rispetto all’uomo. La scienza conferma?

Dott.a Alessia Argirò

Dott.a Alessia Argirò

Si tratta purtroppo di un’affermazione erronea, o comunque da approfondire. Bisogna distinguere varie cardiomiopatie. Alcune, per definizione, colpiscono meno le donne per questioni genetiche. Tanto per fare un esempio, prendiamo la malattia di Fabry, una rara patologia legata alla carenza congenita di un enzima. Per semplificare, questa malattia si trasmette attraverso il cromosoma “X”, per cui se una donna, che ha due cromosomi X, ne eredita uno malato, l’altro “X” può essere sano e compensare il deficit. Le cose stanno diversamente quando l’ereditarietà della malattia non è legata al cromosoma X. Mi riferisco in particolare alla cardiomiopatia ipertrofica ed alla dilatativa.

In questo caso l’ereditarietà genetica non fa distinzioni di genere?

Direi di no, perché sono collegate ai geni che regolano le proteine del muscolo cardiaco. In questo caso però si verifica un fatto singolare. Le donne, nelle nostre popolazioni, sono meno rappresentate nelle casistiche pubblicate, e vengono diagnosticate più tardivamente, quando hanno più sintomi e possono presentare un maggiore rischio di mortalità.

E come mai?

Si tratta di un concetto non semplice da illustrare. La spiegazione corrente è che l’uomo fa più attività sportiva (soprattutto in campo agonistico) rispetto alle donne, esegue dunque vari screening cardiologici, e così la malattia può essere diagnosticata in fase precoce e curata. Nella donna invece, statisticamente, si rivela più tardivamente, e con sintomatologia conclamata. Ma dobbiamo aggiungere un elemento in più: un deficit diagnostico legato ai sistemi di rilevazione attuali.

La diagnostica attuale ha raggiunto senza dubbio livelli molto sofisticati, vuol dire che tuttavia può fallire sul cuore di una donna?
Il concetto è molto sottile. In caso di cardiomiopatia ipertrofica il deficit di cui parlavo è dovuto al fatto che l’ispessimento del muscolo cardiaco deve essere proporzionalmente maggiore in una donna rispetto all’uomo, perché il cuore femminile è più piccolo e una sua anomalia (pur presente) può risultare a lungo sotto il livello diagnostico. Solo negli ultimi anni la medicina di genere si è resa conto di queste problematiche e le sta affrontando.

In che modo sta lavorando la ricerca e la medicina di genere?

In primis si cerca di approfondire tutto ciò che riguarda l’esame, lo studio e la cura al femminile e al maschile, in una parola le differenze di genere dal punto di vista clinico. In secondo luogo si studiano le diversità dal punto di vista molecolare e cellulare. Perché sembra strano, ma ancora in questo campo non si hanno conoscenze approfondite. A Firenze, a Careggi, esiste un team che sta lavorando su queste problematiche, compreso le differenze di genere nelle cardiomiopatie.

Da quanto detto fin qui pare che non si possa parlare di una minore incidenza di malattie cardiovascolari al femminile, ma di alcune diversità di genere

Purtroppo alcune statistiche americane riportano che le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte fra le donne e che queste ultime hanno meno attenzione alla prevenzione. Questo purtroppo è vero anche in Italia, dove le donne posticipano i controlli, trascurano le proprie malattie mettendo avanti il benessere e la cura dei familiari. Invece è necessario che le donne facciano proprio un concetto chiave: sono più protette dalla cardiopatia ischemica solo nel periodo fertile, perché con la menopausa la protezione sparisce. Anzi, la donna manifesta anche alcuni fattori di rischio specifici rispetto all’uomo: malattie infiammatorie, reumatiche, patologie endocrinologiche come l’ipotiroidismo o la menopausa precoce.

Quali consigli dare alle donne per prevenire l’insorgere di malattie cardiovascolari?

Non sono molto diversi da quelli che darei a un uomo. Non fumare, mantenere una sana alimentazione, fare attività fisica e controllare il peso. E poi fare controlli periodici per pressione arteriosa, colesterolo (totale, HDL e LDL), livelli glicemici, in particolare durante e dopo la menopausa e se malattie cardiovascolari si sono già manifestate nei familiari in età giovanile.