Per la nostra famiglia tutto iniziò qualche anno fa quando fu introdotto anche per i bambini l’elettrocardiogramma obbligatorio per poter effettuare attività sportive anche non agonistiche. Non sapevamo, allora, che sarebbe iniziato qualcosa con cui noi ed i nostri figli avrebbero dovuto imparare a convivere.

L’elettrocardiogramma della figlia più piccola, che allora aveva 7 anni, risultò imperfetto e prima di rilasciare un certificato di idoneità il medico sportivo suggerì ulteriori indagini. Ci rivolgemmo ad una prima cardiologa pediatrica che dopo aver eseguito l’ecocardiogramma, disegnò un cuore, e parlò per la prima volta di ispessimento di una parete.  Alla richiesta se dovevamo preoccuparci, ci rispose: “No, ci vediamo tra un anno”. E per un anno non ci pensammo più. Facemmo fare per scrupolo un ecocardiogramma anche agli altri due figli, che risultò regolare. L’anno successivo l’ispessimento nel cuore di nostra figlia era ancora li, superiore di qualche millimetro a quello dell’anno precedente. Chiesti chiarimenti, la cardiologa ci liquidò in fretta, facendo addirittura confusione nei referti che ci lasciò per la visita di due dei nostri figli. La richiamammo qualche giorno dopo per farci spiegare meglio e per far correggere i referti errati. Eravamo confusi. Per la prima volta la cardiologa parlò di ipertrofia, di cardiopatia, dicendo nuovamente di non preoccuparci e tornare l’anno successivo. L’anno successivo ci rivolgemmo ad un altro cardiologo pediatrico, che fece la visita e l’ecografia a nostra figlia e per la prima volta sentimmo parlare di “Cardiomiopatia ipertrofica”. Suggerì di fare un holter delle 24 ore ed in maniera confusa accennò alla genetica. Nostra figlia, che aveva 9 anni, fu trattata per tutta la visita come se fosse assente e all’unica domanda che fece al medico – se avesse potuto continuare a fare ginnastica – lui rispose: “devi fare un holter”. All’uscita nostra figlia ci fece domande per le quali non avevamo risposta: ci sentivamo totalmente impreparati. Il medico, pur scrupoloso dal punto di vista clinico, si mostrò frettoloso e superficiale e ci consegnò un referto che faticavamo a comprendere.

Da allora cominciò la ricerca di un esperto, inizialmente in ambito ecocardiografico per la conferma della diagnosi, e successivamente un cardiologo specializzato nella disciplina, perché ci rendevamo conto che questa Cardiomiopatia ipertrofica non era troppo conosciuta. Preferimmo avvicinarci ad un vero esperto dell’evoluzione – durante la vita dei pazienti – di questa condizione cardiaca, soprattutto quando viene diagnosticata in giovane età.

Finalmente incontrammo il Prof. Cecchi, che ci prese letteralmente per mano, ci spiegò tutto lo spiegabile e si rivolse a noi e a nostra figlia con una chiarezza di pensiero e di parole, di cui solo un medico che sa bene di cosa stia parlando può essere capace. Per la prima volta nostra figlia, la vera paziente di questa storia, nonostante la giovane età, fu ascoltata e le fu chiesto se aveva domande, a cui furono date ampie risposte e rassicurazioni, senza nascondere le attività sportive non più consentite e le cautele – anche a livello alimentare ma soprattutto di stile di vita – da prendere. Ci siamo finalmente sentiti guidati.  Ci ha spiegato, dato riferimenti scientifici, raccontato della sua esperienza, dato un inquadramento della situazione, indirizzato verso controlli medici allargati a livello familiare. Abbiamo capito che la Cardiomiopatia non riguardava solo nostra figlia ma potenzialmente anche altri familiari, e grazie alle indagini genetiche effettuate, abbiamo maggiore consapevolezza (ma non lo nascondiamo, anche maggiore preoccupazione in prospettiva) di cosa potremmo aspettarci in futuro. Esserci affidati ad un medico di grande esperienza ma anche di grande sensibilità nei confronti dei ragazzi, ci rassicura e ci aiuta a guardare al futuro con la speranza, che possano avere una vita più normale e più piena possibile, confidando nella ricerca e nell’accrescimento delle conoscenze relative a questa condizione cardiaca.

Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta di far parte di una associazione di pazienti e dare il nostro contributo, sperando di aiutare chi si troverà in situazioni analoghe a quelle in cui ci siamo trovati noi genitori. Dopo lo spaesamento iniziale indotto dalla diagnosi, avevamo bisogno di vedere un percorso, di capire banalmente cosa possono o non possono fare i nostri figli, supportandoli in una fase delicata come può essere quella di un adolescente a cui presto si potrebbe dover dire e soprattutto convincere a cambiare stile di vita.

Pensiamo fortemente che l’associazione AICARM Onlus possa aiutare non solo i pazienti stessi, ma anche i familiari dei pazienti, mettendo in comune anche una rete di specialisti esperti in Cardiomiopatie.