L’impresa del dott. Pedemonte: sport e sostegno ad AICARM

Intervista al protagonista
Il dott. Andrea Pedemonte, medico chirurgo prossimo a conseguire la specializzazione in Medicina dello Sport, crede profondamente nello sport come catalizzatore di valori positivi e per questo ha deciso di esserne testimone. Così ha pianificato un’impresa sportiva che ha avuto come scopo una raccolta fondi da destinare anche ad AICARM.

di Francesca Conti

In questa intervista Pedemonte racconta di sé e dell’ impresa partita da 20 metri sotto il mare di Genova fino ai 4.556 della Capanna Margherita in cima al Monte Rosa.

Lei è un medico con una grande passione per lo sport. Ci racconta un po’ di sé? Chi è Andrea?

Sono un medico in corso di specializzazione in medicina dello sport, a novembre conseguirò il titolo da specialista. Nella mia vita lo sport è sempre stato un filo conduttore: fin da bambino, grazie ai miei genitori, sono stato abituato a praticare varie attività sportive. Il mio sport principale è stato il nuoto fino ai 21 anni, facendo agonismo con buoni risultati a livello nazionale. Nel corso dello studio ho abbandonato l’agonismo vero e proprio, però ho mantenuto sempre un buon livello di attività fisica.

Come nasce l’idea di questa impresa sportiva?

Da circa due anni avevo iniziato a pensare di fare qualcosa che uscisse dagli schemi. Sono uno sportivo polivalente, dall’ambiente marino a quello alpino, ma la bici è la mia passione principale. Ho iniziato a mettere insieme qualcosa che potesse abbracciare tutti questi ambienti. L’anno scorso ho concretizzato l’idea.

Durante questo percorso ho avuto un infortunio, e mi sono trovato nella condizione di non poter fare tutta l’attività che volevo. Inoltre, essendo specializzando in medicina dello sport, nel corso del lavoro mi trovo in situazioni in cui devo dare la brutta notizia a pazienti che, almeno temporaneamente, sono costretti a non fare più attività fisica o agonismo.

Ho toccato sempre più con mano queste situazioni di stop dallo sport e mi sono immedesimato. Sono una persona, un medico, che investe molto sul rapporto col paziente e mi piace la relazione umana. Mi sono preso a cuore queste situazioni pensando: “Se dovesse succedere a me, sarebbe una notizia devastante per uno come me che non sta quasi mai fermo.”

Così il progetto ha assunto un significato più profondo?

Esatto. Quello che inizialmente era nato come una sfida personale è diventato qualcosa di finalizzato a uno scopo più grande della semplice prestazione sportiva. L’idea della raccolta fondi è stata organizzata all’ultimo momento perché, per questioni di impegni lavorativi, avevo una finestra temporale limitata e dovevo fare i conti con il meteo, che è determinante in un’impresa del genere.

Solo all’inizio della settimana, vedendo condizioni meteorologiche favorevoli, ho organizzato tutto in un lampo. Ho fatto una raccolta su GoFundMe con un reel su Instagram spiegando chi sono e le mie intenzioni. C’è stata un’ottima risposta sui social fin dai primi giorni e alla fine si è raccolta una bella cifra.

Perché ha scelto di sostenere anche cause ambientali?

Sono molto sensibile alle questioni ambientali. Nelle mie attività invernali, facendo sci alpinismo, nel passare degli anni ci si rende sempre più conto che trovare la neve è un’impresa. Ho già visto cambiamenti drastici nella condizione di innevamento delle nostre Alpi. Per questo ho deciso di sostenere anche un’organizzazione no-profit che si occupa di divulgazione di tematiche ambientali legate al mondo outdoor, dividendo il ricavato tra le due cause.

Ci racconta nel dettaglio la sua impresa?

Sono partito da Genova il 31 maggio alle 16:00 con un’immersione a -20 metri al largo, che mi metteva più preoccupazione ma che poi è stata la parte più facile. Una scuola sub si è messa a disposizione per la causa, organizzando tutto anche per la sicurezza.

Alle 17:30 sono partito in bicicletta da Genova per un percorso di 222 chilometri con 2.700 metri di dislivello per arrivare alla frazione di Staffal in cima alla valle di Gressoney, a 1.800 metri di altezza. Durante questo percorso, che è durata dalle 17:30 fino alle 3:15 di notte del 1° giugno, sono stato scortato da mio padre, mio cognato e mio nipote che mi passavano cibo e acqua. Ho pedalato per circa 9 ore.

Lì ho cambiato attrezzatura. Un mio amico mi ha accompagnato a piedi fino a 2.700 metri, dove Francesco De Fabiani e altri amici avevano portato l’attrezzatura per lo sci alpinismo con una Jeep. Alle 6 di mattina abbiamo iniziato l’ascesa: una prima parte più tecnica con Francesco, che conosce bene le tracce, poi dai 3.600 metri siamo saliti fino a 4.556 metri alla Capanna Margherita, arrivando verso le 15:15. In totale sono state 22-23 ore di attività.

Dalla vetta abbiamo tolto le pelli dagli sci e siamo scesi fino al rifugio dove ci siamo fermati a dormire. Quando sono andato a letto, complessivamente ero stato 38 ore filate in veglia.

Dalla Videoteca del Cuore

Approfondimenti video sull’attività fisica nelle cardiomiopatie

E in cima c’è stata una sorpresa, vero?

Sì, in vetta ho chiesto alla mia compagna di sposarmi. È stata la ciliegina sulla torta, rendendo tutto ancora più emozionante.

Come ha affrontato fisicamente questa sfida?

Dal punto di vista fisico mi sono stupito della buona riuscita, considerando le tante ore di veglia. Il supporto degli amici e delle persone care è stato fondamentale. Avevo anche un gruppo WhatsApp dove gli amici mi incitavano e dove davo aggiornamenti, ricaricandomi un po’. Non avrei portato a termine l’impresa senza una rete di persone che mi sono state vicine e che ringrazio: la mia compagna Ludovica, gli amici Andrea, Stefano e Francesco per l’aiuto nell’ascesa, i miei familiari e in particolare mio fratello che con la sua azienda Pedemonte bike mi ha fornito bicicletta e pinne per allenarmi e compiere l’impresa.

Perché ha scelto di sostenere AICARM?

Molto sinceramente, è stata una scelta legata al mio lavoro. Mi sono trovato con pazienti affetti da cardiomiopatie ipertrofiche, dilatative, a cui purtroppo devo dire che non possono più fare l’attività sportiva che amano. Non conoscevo l’esistenza di AICARM, ho semplicemente cercato “associazione italiana cardiomiopatia”, è uscito AICARM, ho letto lo statuto e gli obiettivi, mi è piaciuto e ho deciso di sostenerla.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Sto sviluppando l’idea di fare qualcosa di ancora più grande verso aprile-maggio 2026, un tentativo di record. Da novembre inizierò a prepararmi per quell’obiettivo ancora più ambizioso, sia dal punto di vista della preparazione che della ricerca di sponsorizzazioni. Nello stesso mese prenderò il titolo in medicina dello sport, inizierò a lavorare con il proposito di dare il meglio come specialista per atleti e pazienti

Cosa la spinge a queste imprese?

Mi chiedono spesso perché lo faccio: sono un entusiasta. Per vicissitudini personali ho affrontato momenti più bui, da cui ho iniziato a uscire apprezzando e capendo quanto è prezioso tutto quello che abbiamo, la salute soprattutto. Spesso si dà per scontato di avere possibilità infinite, ma la vita ti può mettere di fronte a cose che ti scompigliano completamente. Io faccio quello che per fortuna la salute mi permette di fare, negli ultimi due anni ho iniziato a fare granfondo di ciclismo e questo mi ha fatto riscoprire il gusto dell’agonismo e della dedizione all’allenamento.

Inoltre, avendo cinque nipoti, spesso penso che questo mondo sta cambiando velocemente e bisogna cercare di muoversi, darci una mossa noi più grandi per lasciare una condizione meno difficile di quella che probabilmente li aspetta. Il discorso “dal fondo del mare fino alla vetta” è proprio quello: cercare di abbracciare tutti gli ambienti e sensibilizzare sul fatto che tutto cambia a 360 gradi.

Oltre al record sportivo, quali altri obiettivi ha per il futuro?

Oltre al matrimonio, ovviamente! Il mio obiettivo principale rimane quello sportivo del 2026, ma sempre con la volontà di coniugare la prestazione atletica con un messaggio di sensibilizzazione sociale e ambientale.