Marina, psicologa e paziente: la vita vince sulla paura
I volontari di “Cuori in Ascolto”
I numeri confermano il trend di crescita del servizio Cuori in ascolto, fiore all’occhiello dell’offerta di AICARM Aps. La giovane psicologa Marina Cacchionni, che ha deciso di diventare volontaria dopo averne verificato l’importanza come paziente, racconta la sua esperienza cominciata quando i medici le hanno prospettato la necessità di mettere un defibrillatore. “Nel momento in cui vengono a sapere che anch’io sono una paziente è come se ci fosse un di più nel rapporto psicologico”, dice.
di Francesca Conti
Il servizio di supporto psicologico “Cuori in ascolto” ha registrato un significativo aumento dell’attività nel 2025. Fino al primo settembre hanno contattato 199 persone diverse, un dato che proiettato sull’anno intero indica una crescita rispetto al 2024, quando gli utenti erano stati 213. Con una media di due colloqui per persona, il servizio ha già raggiunto quota 398 incontri a fine agosto, superando ampiamente l’obiettivo annuale di 350 previsto inizialmente. I numeri confermano il trend di crescita del servizio e l’aumento della domanda di supporto psicologico nel territorio.
La storia che segue rappresenta un esempio virtuoso di come il servizio si arricchisca grazie all’esperienza diretta dei pazienti. Marina Cacchionni, la giovane psicologa protagonista dell’intervista, dopo aver ricevuto supporto da “Cuori in ascolto” come paziente, ha scelto di diventare a sua volta volontaria del servizio. La sua doppia prospettiva – professionale e personale – offre un valore aggiunto unico ai pazienti che si rivolgono al servizio, mostrandoci come l’esperienza vissuta possa trasformarsi in risorsa per altri.
Ci racconti la tua storia e come è iniziato tutto?
Ho iniziato a soffrire della mia patologia cardiaca a circa 12 anni, quindi mi ha accompagnata durante lo sviluppo e le varie tappe fino all’età adulta. Di solito andavo avanti da sola, sentendomi che era una cosa mia che potevo capire solo io e affrontare soltanto io, fino a che quest’anno la situazione cardiaca è andata un po’ degenerando finché mi è stato detto che ero a rischio di arresto cardiaco improvviso e che quindi dovevamo intervenire mettendomi un defibrillatore che sarebbe stato il mio salvavita.
Come hai vissuto questa decisione?
Ovviamente ho accettato anche se sentivo di non volerlo. Per me mettere il defibrillatore era un po’ una sconfitta. L’ho fatto più per le persone intorno a me, per farle stare serene, ma quello che desideravo era un farmaco, un’operazione che risolvesse il problema. Quindi ho iniziato sicuramente a soffrire un po’ anche dell’incapacità che avevo di riconoscere il defibrillatore come un salvavita – lo vivevo piuttosto come l’emblema della malattia. Ora la malattia è visibile fisicamente, la si vede anche da fuori, quindi mi sono trovata in una situazione psicologica difficile.
“Il defibrillatore non è solo il simbolo della malattia, ma anche della vita che continua e della forza di andare avanti.”
È in quel momento che hai incontrato Aicarm?
A quel punto, rovistando tra le mie cartelle cliniche, ho ritrovato il volantino di AICARM che mi era stato dato quando sono andata a fare la genetica al Meyer di Firenze. Trovando questo volantino in un momento di sconforto, ho deciso di contattare Cuori in ascolto, volevo provare a parlare con qualcuno che avesse la mia patologia in maniera di provare a placare questa rabbia e questo senso di ingiustizia.
Che tipo di supporto hai ricevuto dall’Associazione?
A quel punto ho avuto i primi incontri con Marco come volontario, poi con Valerio che mi ha aiutato per la parte burocratica che poi è conseguente all’operazione ma nessuno ti dice, nemmeno all’ospedale. Quindi AICARM per me è stato proprio fonte di conoscenza e supporto emotivo. Poi mi sono interfacciata con Silvia che è l’avvocatessa e ho iniziato a sentirmi in una rete e quindi più al sicuro, nonostante la malattia, nonostante il defibrillatore e nonostante la paura dell’arresto cardiaco.
Hai avuto altre conseguenze oltre a quelle mediche?
Nel frattempo ho anche perso il mio lavoro. Io lavoravo in psichiatria e questo intervento ha fatto sì che non fossi più idonea a continuare il mio lavoro, per cui nel frattempo l’ho perso. È stato un momento buio. In quel momento ho capito che come me altre persone potevano aver bisogno di un supporto psicologico.
Come è nata l’idea di offrire supporto psicologico?
Un volontario come Marco dà un supporto emotivo importantissimo, un supporto come quello di Valerio che si occupa delle patenti – che sembra una sciocchezza ma io ancora ci lotto – è fondamentale, però mancava un po’ quella parte non solo legata al cuore, quindi al cardiologo, al medico, ma anche psicologica. Questa malattia porta tanto con sé, perché non sai cosa ti succederà, non c’è una prognosi sicura, non sai se si arresterà il cuore oppure no, quindi sei in un limbo costante. Per cui mi sono proposta, essendo io psicologa, per dare anche supporto psicologico ai pazienti come me.
Come si è sviluppata questa collaborazione?
Ci siamo incontrati a Firenze – io sono di Grosseto quindi ho fatto il viaggio fino a Firenze proprio per andare a conoscere in particolare Serena e Marco alla sede di AICARM, accompagnata dal mio compagno perché io non potevo nemmeno guidare in quel periodo avendo la patente sospesa. Però abbiamo fatto questo viaggio e lì, incontrandoci, abbiamo pensato che potesse essere effettivamente una buona idea sostenere i pazienti come psicologa, ma come psicologa che è una paziente prima di tutto.
Com’è l’esperienza di essere sia psicologa che paziente?
Abbiamo iniziato, io ho già incontrato alcuni pazienti e devo dire che non è facile perché comunque richiamano in me delle cose che sono vive, come appunto la paura della morte, oppure come affrontare la propria vita che non è più quella di prima. Non ho più il corpo di prima, non mi fido più del mio corpo, potrò fare quello che facevo un tempo? Come? Quindi sono tutte domande che mi pongo io per prima ogni giorno e che loro pongono a me.
Nel momento in cui vengono a sapere da me che anch’io sono una paziente è come se ci fosse un “di più” nel rapporto psicologico, perché oltre che una psicologa sto dicendo loro che sono una paziente come loro e questo cambia molto il rapporto. È come se si velocizzasse tutto e la relazione si fa più intensa.
Come psicologa e paziente, quanto è importante l’aspetto psicologico nella malattia?
Sorrido mentre mi fai questa domanda perché, quando a inizio anno mi hanno detto che avrei dovuto mettere il defibrillatore, come ti dicevo avevo uno stato d’animo brutto, ero arrabbiata e mi sentivo come un fallimento. A volte entrambi i pazienti che ho visto fino adesso mi riportano la stessa cosa, e a me viene da sorridere perché adesso, da quest’altra parte, dopo alcuni mesi, posso dire: “Lo so, questo senso di impotenza e di rabbia è giusto che tu lo percepisca, ma a un certo punto ti prometto che si trasformerà – con il tempo soggettivo di ognuno – ma non resterà come adesso. Vedrai che farà parte di te quel dispositivo, questa malattia imparerai a conoscerla e sarai un personaggio attivo di questa malattia e non la subirai più.”
All’inizio c’è tanta paura, poi si fa l’operazione, si va avanti e si cambia. Come dico spesso anche ai pazienti: è la vita che vince sulla paura, e quindi quella voglia di vivere è adattamento, per cui si trovano strategie e si prosegue a fare quello che si faceva prima, con un’attenzione maggiore che non è altro che cura nei nostri confronti.
“Trasformare la fragilità in risorsa: la testimonianza di Marina mostra che insieme la paura si può vincere.”
Cosa rappresenta per te questa esperienza?
Per me è davvero emozionante, è un’occasione guaritrice anche per me, quindi è vero che aiuto gli altri ma sta aiutando tanto me, quindi ha un duplice significato veramente profondo. Sono molto contenta. Per questo nella mia città sto cercando di fare degli eventi con i cardiologi per diffondere un po’ il “verbo” di AICARM, perché senza quel volantino io non avrei mai incontrato l’Associazione.